Immaginate di starvene seduti soli, ad ascoltare una registrazione delle onde dell’oceano che si infrangono sulla riva. La stanza è buia: attraverso le tende tirate entra solo un lieve chiarore esterno, e i suoni dell’esterno vengono percepiti in modo vago e attutiti. A un tratto si accendono tutte le luci, gente che grida, qualcuno che vi strappa dalla poltrona. L’idea non è molto piacevole, eppure è proprio così che la vita comincia.
tratto da “Onorare la madre”
Questo è il modo con il quale due psicologi americani descrivono la nascita all’interno delle sale parto degli ospedali. Sforziamoci per un attimo e proviamo a metterci nei panni di un neonato, magari proprio del neonato che siamo stati tanto tempo fa, proviamo a pensare a quale stupore, e paura provammo uscendo dalla pancia calda e accogliente della nostra mamma, e a quello che avremmo voluto trovare fuori … Lo stesso calore tiepido, le stesse luci soffuse, gli stessi suoni rispettosi e soprattutto le braccia accoglienti di nostra madre che ci rassicuravano che nonostante il grande cambiamento, tutto era a posto. Sicuramente avremmo voluto che lei, la sua voce e il suo odore conosciuti in utero, fossero lì ad accoglierci e a darci tutto il necessario per continuare a vivere. Si, a vivere, perché di questo si tratta.
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